lunedì 22 settembre 2014

Ho lasciato tutto per lui..poi lui mi ha lasciata. Ricominciare è possibile


Donne che rischiano tutto per amore, lasciano città, lavoro a volte addirittura il paese d'origine, per trasferirsi accanto all'uomo che amano.

Decisione maturata nel corso di una notte o di una vita, ma con una soluzione identica per le esperienze che andremo a raccontare: sono state lasciate, sono cadute e si sono rialzate e si sono rifatte una vita. Più forti di prima.

Hanno scommesso su loro stesse ed hanno vinto, dimostrando che in amore non vince chi fugge, ma chi resta.

C'è chi ha puntato sul lavoro, chi sui figli e chi soltanto su sé stessa, hanno una cosa in comune: il sorriso di chi c'è l'ha fatta.





Rosa Sanchella 30 anni abita a Dolo



Il mio sogno più grande era indossare la divisa, fin da quando ero bambina le mie amiche giocavano a fare le principesse io invece indossavo i pantaloni e facevo il soldato. Quando c'è stata la possibilità di fare il concorso per l'esercito non ci ho pensato due volte: ho rincorso il mio sogno e l'ho vinto.

Ho conosciuto il mio futuro marito in caserma ad Ascoli Piceno, ci siamo innamorati subito, ma siamo stati costretti a far finta di nulla sul lavoro perché nel 2000 era stata fatta una legge per cui uomini e donne entrambi arruolati, non potevano fidanzarsi, tanto meno sposarsi, pena il congedo immediato.

A quel punto avevo due prospettive: o fare l'accademia da “single” oppure uscire allo scoperto con il mio compagno, e così ho scelto l'amore, mi sono congedata e dopo ci siamo sposati e trasferiti in provincia di Viterbo, dove c'era la sua famiglia.

I dodici anni di matrimonio mi hanno regalato una figlia meravigliosa, Jennifer, dopo per una serie di problemi legati soprattutto all'invadenza di mia suocera, ci siamo lasciati.

Anzi a dirla tutta mi ha lasciato telefonicamente proprio sua madre, mentre lui era in missione all'estero ed io ero a Dolo (dove abitano i miei) ad arredare la nostra futura casa, visto che avevamo deciso di trasferirci in Veneto

E 'stato umiliante, all'inizio sono stata molto male, ma poi ho capito che la vita mi stava dando la possibilità di un nuovo inizio.

Ne sono uscita grazie alla presenza di mia figlia, con cui ho un rapporto meraviglioso, non volevo scendere a compromessi nella sua educazione perché volevo che crescesse libera da condizionamenti familiari: l'ambiente che ci circondava non l'avrebbe mai permesso. Così, dopo tre mesi dalla separazione, siamo entrate nella nuova casa sorridendo, con un nuovo lavoro (facevo la guarda giurata) e con la consapevolezza di essere forte come non mi sarei mai aspettata. L'amore per mia figlia ci ha rese libere.”



Michela Pica 43 anni vive a Varese

La decisione di lasciare la mia città e un lavoro ben retribuito è arrivata quasi contestualmente al trasferimento del mio eterno fidanzato (ci siamo messi insieme alle superiori), non potevo immaginare di stare lontana da lui.

Così dopo qualche mese mi sono trasferita a Cesenatico, pensando che fosse la mia “meta” definitiva.

Invece poco dopo lui mi ha lasciato per un'altra, ed io sono stata davvero male, anche fisicamente, ho sfiorato l'anoressia.

Mi sono trasferita in una casa vicina alla sua, ma vivere in una cittadina così piccola come Cesenatico ed incontrarlo quotidianamente era diventato insostenibile, da qui la mia insofferenza e la mia voglia di evadere, ho capito che se volevo risollevarmi dovevo cambiare aria.

Ne sono uscita grazie all'improvvisa proposta di lavoro arrivata da parte di un mio amico che aveva bisogno di una collaboratrice ed aveva pensato a me, ma dovevo trasferirmi subito a Milano.

Non ci ho pensato due volte, ho fatto i bagagli e sono partita, dopo un mese abitavo nel capoluogo lombardo e finalmente ho ricominciato a “vivere”.

E' vero me ne sono andata, ma questo ha permesso che riprendessi in mano le redini della mia vita, io che sono sempre stata in coppia, ho capito che per essere felice spesso è più importante avere dei buoni amici presenti, piuttosto che un fidanzato assente.

Adesso abito a Varese e collaboro in un locale dove ho unito le pubbliche relazioni con la gioia di avvicinare un buon calice con il giusto cibo. Sono serena e pronta ad innamorarmi di nuovo.”

Wendy Teunissen olandese vive ad Alessandria ha 44 anni

Ci siamo incontrati la prima volta nel mio paese, in Olanda, era in vacanza e mi colpì subito per la sua bellezza, ma ero già impegnata ed innamorata così non accadde nulla.

Ci siamo rivisti dopo due anni, io mi ero lasciata ed è scoppiato l'amore, la sua determinazione e la sua sicurezza hanno vinto tutte le mie resistenze.

Ho capito che se non volevo perderlo, dovevo seguirlo, così quando mi ha proposto di tornare con lui, non ci ho pensato un attimo, ho fatto le valigie e siamo partiti per l'Italia, destinazione Alessandria. Ho lasciato tutto per lui: anche il mio paese. Siamo stati insieme quattordici anni, abbiamo avuto cinque figli, l'ultimo dei quali mentre eravamo già separati, mi aveva lasciata per un'altra mentre ero incinta. Mi sono sentita sola e abbandonata, ho sperato di poter riuscire a sistemare le cose con lui, quando ho capito che era davvero finita ho pensato anche di tornare in Olanda, ma poi ho deciso di rimanere per i miei figli.

Ne sono uscita scommettendo su me stessa, e sulla forza con cui mia madre mi ha allevato da bambina, così mi sono alzata e ho fatto quello che mio ex diceva sempre che non avrei mai fatto : ho cercato casa e sono andata via.

La sua mancanza di fiducia e di stima nei miei confronti sono stati i miei punti di forza, quando pensavo di mollare la presa, immaginavo cosa mi avrebbe detto: “lo sapevo che non ce l'avresti fatta.”

E' stata una sfida, ho trovato una socia e adesso restauro mobili per rivenderli in Olanda e, per la prima volta sto realizzando i miei sogni, e non quelli di qualcun altro.

A tutte quelle che stanno passando un momento terribile dico di rimboccarsi le mani perché la vita non finisce con un divorzio perchè fuori c'è tutto un mondo che aspetta solo voi.”

Irene Vella

 

 

domenica 21 settembre 2014

Aborto ai tempi dell'obiezione


Emergenza aborto all'ospedale Niguarda è una notizia di pochi giorni fa , i medici non obiettori si sono ridotti a due e per garantire l'applicazione della legge 194 i vertici ospedalieri hanno dovuto chiedere aiuto ai ginecologi del Sacco.

Anche quest'anno la relazione del Ministro della Salute sullo stato di applicazione della legge 194 conferma la netta riduzione dei tassi di abortività nel nostro Paese,(- 54.9% dal 1982) sottolineando il dato di fatto che la legge funziona, nonostante gli innumerevoli attacchi subiti nei trentacinque anni trascorsi dalla sua approvazione.

Il dato più preoccupante riguarda proprio i numeri relativi all'obiezione di coscienza (70.7%) che, tra l'altro sottostimano il dato reale. I dati ministeriali infatti non tengono conto dell’esistenza di una “obiezione di struttura”: che significa che in molti ospedali del nostro paese i servizi per le interruzioni volontarie di gravidanza semplicemente non esistono.

La situazione nel nostro paese vede infatti passare dal 1983 a oggi il numero di ginecologi obiettori dal 59,1 al 70,7% (con punte dall' 80 al 91% in Basilicata, Sicilia Campania Lazio e provincia di Bolzano) contro una sostanziale stabilità del numero di anestesisti obiettori (dal 50.4 al 51.7) e del personale paramedico (dal 44.5 al 44.4)



( i dati si riferiscono alla relazione del Ministro della Salute sullo stato di applicazione della legge 194 nell'anno 2013)



Anna anni 46 madre di tre figli casalinga Imola

per abortire è stata costretta ad andare in una città diversa dalla sua

Quando ho scoperto che la bambina che aspettavo era affetta dalla sindrome di Patau (incompatibile con la vita) ero nello studio della mia ginecologa, l'ho vista sbiancare ed abbassare lo sguardo, il mio cuore si è fermato con quella drammatica diagnosi.

E la situazione si faceva tanto più terribile perché ero di venti settimane, ed avevo solo quattordici giorni per rientrare nei termini stabiliti dalla legge per ricorrere ad un aborto terapeutico.

Il giorno successivo mi sono presentata al pronto soccorso con il certificato del mio medico e mi sono scontrata con un ginecologo obiettore, che dopo aver letto distrattamente la diagnosi mi ha guardato sprezzante dicendo: “noi qua non aiutiamo ad uccidere dei bambini, lo sa che a venti settimane sono già formati? Siete tutte brave a rimanere incinta, tanto poi se c'è un problema abortite.”

Sono quasi svenuta per quelle parole, sono scappata piangendo, mi sentivo morire.

Appena arrivata a casa ho telefonato disperata alla mia dottoressa che il giorno successivo mi ha preparato le carte per il ricovero nell'ospedale dove lavorava lei (a Torino) e ha fatto in modo tale che non mi imbattessi in nessun altro medico obiettore, occupandosi personalmente del mio aborto terapeutico.

Per usufruire di un mio diritto sono dovuta andare in un'altra città, ma se non avessi avuto l'aiuto della mia ginecologa cosa avrei fatto?

Credo che nessuno abbia il diritto di condannarci, siamo noi mamme le peggiori giudici di noi stesse”



Paola C. Roma 55 anni libera professionista due figli

Sono rimasta incinta all'inizio degli anni novanta, nonostante avessi la spirale, e non potessi permettermi di avere un altro figlio.

Ho pensato in tutti i modi a come fare per tenerlo, ma sia per motivi economici che di salute (mi era stato prelevato il rene destro per un tumore da meno di un anno, il mio fisico era ancora molto provato) purtroppo ci ho dovuto rinunciare.

Ho iniziato cosi il cammino per usufruire della IVG , venivo sballottata da un consultorio all'altro, non c'era più posto, il medico era obiettore, e più passavano i giorni più ero terrorizzata dall'idea di passare le dodici settimane consentite per l'interruzione volontaria di gravidanza.

Quando è arrivata la chiamata ero già di dieci settimane e la sera prima dell'intervento ero talmente scossa, che per lo stress ho avuto un aborto spontaneo.

Non lo volevo è vero, ma non per questo quando mi sono resa conto di quello che stava succedendo, non sono stata male, anzi.

Mi sono sentita una madre cattiva.

Così la mattina successiva sono andata in ospedale con mio marito portando con me il contenitore con le prove fisiologiche dell'avvenuto aborto, ho fatto presente la situazione, e hanno deciso di ricoverarmi per farmi un raschiamento il giorno successivo.

I ginecologi, tutti obiettori al mio arrivo in sala operatoria mi etichettano come “una mancata 194” e li sento parlare: sono convinti che mi sia indotta l'aborto con qualche farmaco, e così decidono di trattarmi non come una donna, ma come un'inutile contenitore.

Mi legano per i piedi e mi appendono a testa in giù (per lavorare meglio, perché così la parte in cui dovevano lavorare era all'altezza dei loro occhi e delle loro mani) come fossi un animale da macello.
E' come se fossi stata violentata nell'anima e nel corpo. Al mio risveglio non sono riuscita nemmeno a raccontarlo a mio marito, ma, se tornassi indietro, li denuncerei per evitare che possa succedere a qualcun'altra quello che è successo a me”



Daniela di Terni anni 43 impiegata

Quando ho scoperto di essere incinta ero felicissima, cinque mesi ad immaginare la faccia del mio bambino, immaginare i suoi occhi, la sua bocca, sogni infranti la mattina dell'ecografia morfologica.

Mio figlio aveva la spina bifida che aveva portato un mancato sviluppo del midollo spinale, così ho deciso, devastata, di abortire.

E' cominciata l' odissea nell'ospedale della mia città, nessuno sembrava capire che dietro alla decisione di una madre di rinunciare al proprio figlio c'è uno strazio che non avrà mai fine.

Dopo essere stata ricoverata tra gli sguardi di disapprovazione generale, sono stata abbandonata, nessuno si è più avvicinato a me,

Mi ricordo ancora il viso della dottoressa che, senza la minima compassione, si avvicinò al mio letto (mentre ero sotto contrazioni) e con voce quasi meccanica dire: “ hai diritto a un letto, all'interruzione volontaria di gravidanza e all'assistenza post-parto, ma non ad una presenza medica e ostetrica durante il travaglio perché siamo tutti obiettori di coscienza.”
Sono stata lasciata da sola e disperata con mio figlio morto tra le gambe per un tempo che mi è sembrato interminabile, come per punizione.

Ho sentito dire all'ostetrica che me lo meritavo: ero un'assassina.

Sono stata trattata come un mostro, quel giorno non ho perso solo il mio bambino, ma anche una parte di me stessa.”





Dottoressa Barbara Del Bravo ginecologa ospedaliera presso ospedale di Pisa

Perché quello dell'obiezione di coscienza dei medici è diventato un tale problema, sono davvero aumentati?

purtroppo sì, non posso che confermare il dato emerso dalla relazione del Ministero della salute, negli ospedali italiani il numero dei medici obiettori è cresciuto in modo esponenziale: sono aumentati del 17,3% in trenta anni.

Un dato così preoccupante da indurre il Comitato Europeo dei Diritti Sociali del Consiglio d'Europa a riconoscere ufficialmente che l'Italia viola i diritti delle donne che -alle condizioni prescritte dalla legge 194/1978 - intendono interrompere la gravidanza.

Un esempio fra tutti la Regione Lazio dove in dieci strutture pubbliche su trentuno (esclusi gli ospedali religiosi e le cliniche accreditate) non si eseguono interruzioni di gravidanza. Tra queste, due sono strutture universitarie (il Policlinico di Tor Vergata e l’Azienda Ospedaliera S. Andrea), che dunque disattendono anche il compito della formazione dei nuovi ginecologi, sancito dall’art.15 della legge 194.”
 
Irene Vella

 
 

sabato 20 settembre 2014

dal successo "Credevo fosse un'amica e invece era una stronza" Piccole stronzamiche crescono



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6.

Piccole stronze crescono74

 


Passano gli anni, cambiano le mode, le acconciature, solo una cosa non cambia mai: le stronzamiche. Ci potremmo fare una puntata intera di Quark sull’evoluzione della specie, adesso non si chiamano solo "stronze", si chiamano pure "bulle", ma il risultato è lo stesso, come anche il prototipo della vittima prescelta.

Escono in branco, camminano allo stesso modo, inclinando la testa dalla stessa parte, usano lo stesso linguaggio, gli stessi vestiti, ma attenzione perché ci sarà sempre e solo un’ape regina (non avrete altra capa all’infuori di lei) che comanderà su tutte. Sarà lei a decidere vita, morte e miracoli delle compagne. Fuori dalla scuola si riconoscono al volo, stessa andatura, stesso sguardo, matita nera sugli occhi – a dodici anni dico dodici – e una schiera di maschietti con gli ormoni a palla al seguito. In classe avranno già separato il gruppo dei fichi da quello degli sfigati: quelli cool durante la ricreazione escono e vanno a fare le "vasche" nei corridoi della scuola, gli sfigati rimangono all’interno della classe perché tanto dove devono andare?
 

Ecco, io alle medie ambivo a essere una stronza bulla, ma con alle spalle dei genitori professori sessantottini mi veniva difficile. Più mi crescevano a "non importa quello che hai ma quello che sei" più io ambivo ad avere determinati vestiti e, naturalmente, di chi mi ero andata a invaghire? Del più fico della scuola. Perché? Perché "Io valgo" e, nonostante le perculatio, la mia autostima arrivava dove non poteva la notorietà.

Ci ho pure provato a uscire durante la ricreazione ma se non nasci figa già con l’andatura di Belen e la sua farfalla stampata in testa, il rischio era quello di vedere uno stecco secco (ero talmente magra da essermi meritata vari soprannomi, che se me li dicessero oggi apprezzerei parecchio) prima ondeggiare (ero alta 1 e 75 per 49 chili... bei tempi!), poi mettersi a correre per tutti i corridoi insieme ai maschi, con la grazia di un camionista (non perché abbia qualcosa contro la categoria sia chiaro, ma diciamo che non rappresentano, almeno nell’immaginario comune, il massimo dell’eleganza, ecco), perché un pochino va bene, ma poi come cappero si fa a camminare senza fare nulla per quindici minuti in un corridoio? Eh no, non si fa così. Le fighe non corrono, sfilano; le stronze non ridono, sfottono con le mani davanti alla bocca, poi alzano la testa ti squadrano un attimo, e puff tu sei finita, segnalata a vita, ti imprimono il marchio, 75


e tu, per tutta la durata della scuola, non riuscirai a togliertelo.

Mi ricordo che alle medie avevo due migliori amiche, e già il numero non depone a mio favore, lo so, con una di queste ci scambiavamo il fidanzatino, una settimana a testa, non pensate male, era lui che ci combinava così, e a ripensarci adesso, io ero proprio come Carrie con Big (ma dimenticatevi le sue mise, io ero più stile Pippi Calzelunghe... e già vi ho detto tutto). Avete presente quando lui per l’ennesima volta la lascia e si sposa la figa lessa? Uguale. Io ero la ribelle, la mia amica naturalmente la gattamorta, più brutta di me, ma mooolto più furba, aveva fatto suo il detto "in amor vince chi fugge", e quindi si lasciava desiderare.

Io, al contrario, avevo coniato il detto "lui mi ama ma non riesce a dirmelo e mi dà le botte a ricreazione come segno d’affetto", quando in realtà quello che mi sarebbe calzato a pennello era "la verità è che non gli piaci abbastanza". E così, con lei era tutto coccole e moine, con me botte da orbi, che io interpretavo come segno di passione... furba, eh? Il finale è stato abbastanza scontato: le due mie migliori stronzamiche hanno scelto di frequentare lo stesso istituto dopo la scuola media, io ho scelto il liceo, che si trovava pure in un altro paese, quindi addio: lontana dagli occhi lontana dal cuore, e la nostra grande "amicizia" è finita così.

Ma a quel punto, alla mia stronzamica il tipo tanto conteso non è più interessato perché non c’era gusto ad averlo così senza soffiarlo a nessuna.76

Io, invece, per un altro anno ho lavorato di sguardi, avete presente Benigni e Troisi in Non ci resta che piangere quando si trovano in chiesa a corteggiare le donne, ma non possono parlare, e quindi devono fare tutto con gli occhi, e Benigni dice a Troisi: "Fagli capì che hai capito" e Troisi risponde: "Ho capito, ho capitoooo". Ecco, uguale.

Per circa 280 giorni, facendo lo stesso percorso io dalla stazione, lui dall’istituto e incrociandoci sempre nello stesso punto, lo guardavo fisso: avrà pensato pure che c’avessi una paresi facciale, ma nulla, non ci fu verso ’un capì o forse fece finta di non capire e la mia prima cotta si concluse prima ancora di aver avuto qualsiasi tipo di sviluppo.

Irene Vella

Thank God XFACTOR8 "IS"

Ognuno di noi ha una dipendenza, un vizio, io in realtà ne ho più di uno, sono pistacchio dipendente, ma visto che alimentandomi di questa graziosa crema rischio di diventare una balenottera ambulante, ho deciso che forse per un po' è meglio concentrarsi su qualcosa di meno dolce, ma altrettanto accattivante, e per fortuna in mio soccorso è arrivato Xfactor8.
Sono sincera dopo la dipartita di Simona Ventura e Elio, ho temuto che il livello del programma si sarebbe abbassato, ed invece sono davvero rimasta piacevolmente sorpresa dalla sintonia palpabile tra questi quattro, probabilmente il fatto che per la metà della giuria fosse una novità ha inciso sulla ventata di freschezza che mi è arrivata ( e non solo a me, il gruppo d'ascolto che si ritrova sulla mia bacheca puntuale come sempre, è entusiasta ).
 Ma veniamo a noi cosa resterà di questa prima puntata?
I mai più senza sono:
1) il bacio di Victoria a Mika, con successivo assaggio della bocca e conseguente bacio a stampo di Morgan a Fedez;
2) le lacrime di Fedez che veniva voglia di andare lì e coccolarselo patatoneee ( per inciso lo vedrei bene come fidanzato di mia figlia, hai mica un fratello che t'avanza? e anche come migliore amico dello gnomo)
3)la smattata di Morgan nel suo attacco di Baudite acuta "io proprio non lo sopporto copiare così spudoratamente Marco Mengoni, guarda come sei lezioso, sei artefatto, costruito e poi Marco l'ho inventato iooooooooo" veniamo al dunque qual è il tuo voto? " canta bene il mio è un sì" ...adoro Morgan e la sua coerenza :)
4) la Maya "desgnuda" che arriva vestita come la Bertè o come Madonna dei tempi d'oro, si spoglia rimane in mutande col il sì immediato di Morgan e Mika e il no di Victoria e Mika che si è alterato non poco, e l'uscita di scena della tipetta in questione con un "l'Italia non è pronta" e così sia
5) il gruppo degli Spritz for five, che io ho adorato, perché avete scelto questo nome? "ci piaceva qualcosa che avesse le bollicine", perfetto. La coreografia e le voci sembravano uscite da una puntata degli usignoli di Glee, meraviglia voto 8
6) la sedicenne bocciata da Morgan (che ancora non ho capito) con l'approvazione della mamma ( ce ne fossero di mamme così che si dicono concordi con le stroncature delle figlie ci sarebbero più universitarie e meno olgettine)
7) il disoccupato di tempio Pausania che lavorava sulle pale eoliche, che ha commosso e incantato con il suo inedito
8) ma il nuovo idolo delle folle è senz'altro lui, il Mengoni giapponese, Yusaku, che al suo ingresso sembra un manga vivente e tra un Morgan che gli chiede "cos'hai sotto il braccio il menù?" Mika che continua dicendo "questo parla l'italiano come io" Victoria conclude con "tu hai l' xfactor?" e Yasuku risponde "questa prima volta ad xfactor" e poi comincia a cantare "ressenziale" di Marco Mengoni lasciando tutti a bocca aperta per la sua interpretazione.
Non c'è storia il web lo ha già decretato il vincitore morale, e lo vuole dentro la trasmissione.
Staremo a vedere cosa accadrà per ora posso dire che le puntate delle audizioni durano troppo poco due ore, il tempo passa e non te ne accorgi neanche (succede sempre quando un programma funziona)
I voti sono positivi per tutti i giudici e naturalmente per Cattelan che si dimostra il mattatore di sempre.
Appuntamento al prossimo giovedì.
Irene Vella


giovedì 18 settembre 2014

Fabè Dia ed io: un libro per cambiare. Tornare in forma dopo i 35 anni

Quest'estate ho scoperto Tosca Reno (esperta di fitness e personal trainer di molte star tra cui anche Madonna e Angelina Jolie), con qualche anno di ritardo, della serie sempre sul pezzo ehhhh,, e mi sono divorata due dei suoi tanti libri, il primo "oggi meglio di ieri" è il libro che tutte noi quarantenni dovremmo leggere almeno una volta nella vita, da tenere sul comodino accanto al letto e da consultare nei momenti di sconforto, il secondo è la Dieta Eat and Clean.
Non è che Tosca abbia scoperto l'acqua calda, lei sostiene che per dimagrire sia necessario mangiare pulito, cioè comprare e cucinare solo cibi freschi che è come dire: se vuoi dimagrire smetti di mangiare i dolci e vedrai che prima o poi qualcosa perdi.
Però è il modo in cui lo fa e soprattutto quando l'ha fatto che mi ha colpito: a 42 anni suonati lei si è messa in testa di dimagrire e partecipare ad uno di quei concorsi per body builder e cazzo da 90 kg è passata a 62 e senza operazioni di chirurgia estetica.
E' passata da "sono una cicciona non ce la farò mai" a " sono una strafiga e a 42 anni ho un fisico che manco le ventenni", ha superato indenne la menopausa, non ha preso chili sul girovita, e adesso a  cinquant'anni e coda si mantiene in forma e va in giro con la sua borsina piena di cibi freschi e puliti e non sgarra mai ( o quasi).
A questo punto mi sono domandata: ma se ce l'ha fatta lei perché io no? la risposta è stata: forse perché tu riesci a  resistere a tutto tranne che alle tentazioni? che poi non è manco vero.
Uno dei dietologi da me consultati, il dottor Oliva di Mestre, mi colpì dicendomi che io avevo la mentalità da anoressica ( cazzo solo la mentalità ehhhhh) cioè o tutto o niente, ed è vero, non riesco ad avere una via di mezzo, io ci provo a mangiare un cucchiaino di Novi e poi basta, ma poi quella maledetta mi chiama dalla dispensa ed io cedo, e lo stesso mi succede con il gelato, ogni volta che ci passo davanti il pistacchio mi fischia dietro come il peggiore degli stalker, ed io ai complimenti non resisto, e manco alla panna montata :)))))
Il problema è che io sono una skinny dentro una curvy, a volte mi piaccio, a volte no, a volte quando guardo come ero mi prende male, a volte penso che il mio problema sia arrivato nel momento in cui ho fatto la prima dieta, perché prima mangiavo come un camionista e non ingrassavo, dopo invece è andata sempre peggio.
Sono arrivata alla conclusione che le diete dimagranti alla lunga facciano ingrassare, può sembrare un controsenso ma io l'ho provato sulla mia pelle ed vi assicuro che è proprio così.
Ho il metabolismo di una vecchia #cessaasonagli dopotutto, ma dentro di me c'è una gnocca che vuole mettersi in costume anche d'inverno e farsi selfie con l'hashtag "tramonto" al posto di "culo" come dice Selvaggia Lucarelli :)
E a questo punto mi sono ricordata di quella stupenda pantera che un giorno di un anno fa in palestra mi sfrecciò accanto a velocità 19 sul tapis roulant mentre io andavo fiera a 7.2, solo qualche giorno più tardi riuscii a scoprire il suo nome Fabè Dia, e capii anche perché andava così forte: era una atleta della nazionale francese della categoria 400, naturalizzata italiana dopo aver sposato il veneto mezzofondista Andrea Longo (che dopo ho scoperto andare a 22 sul tapis).
Secondo me Fabè ha il fisico più bello che abbia mai visto, non una curva fuori posto, un muscolo sottotono, dei bicipiti tirati ma femminili, un viso solare e sorridente, insomma come direbbe Ceccherini " Dio c'è c'ho le prove", e poi ha un motto che la dice lunga sul suo carattere strepitoso "Ho scelto di essere felice ogni giorno".
Allora l'ho contattata e le ho esposto il mio progetto di diventare la Tosca Reno de "noiartri", seguendo una alimentazione controllata, ma inserendo attività fisica tre volte alla settimana seguita da lei, che adesso, oltre a continuare la sua carriera di atleta (ha vinto i master dei 60 piani a marzo 2014), allena le future campionesse di domani.
Ecco io non sono propriamente una ragazzetta ma ho promesso che l'ascolterò ed insieme butteremo le basi per il futuro best seller sulle donne in forma dai 35 in su, e come succede in questi casi Tosca Reno trema :)))))
Seguiteci perché ne vedrete ( appena possibile posterò i video dei miei allenamenti) e leggerete delle belle.
Prossimamente su questo canale.
Irene Vella

mercoledì 17 settembre 2014

«Mi ci sono volute 22 operazioni e una causa legale di 5 anni per cambiare sesso. Eppure nemmeno questo basta per essere considerata una donna»


«Mi ci sono volute 22 operazioni e una causa legale di 5 anni per cambiare sesso. Eppure nemmeno questo basta per essere considerata una donna».

A parlare è Eva Carieri, una bellissima ragazza poco più che trentenne, che da pochi giorni ha partecipato e vinto a Monselice (PD) il suo primo titolo nazionale al concorso di Miss Chirurgia estetica 2014, con la fascia di Miss Sorriso.

La signorina in questione è il tipico esempio delle contraddizioni del concorso di Miss Italia sollevate da Vladimir Luxuria, perché Eva, nonostante sia donna a tutti gli effetti, non avrebbe mai potuto partecipare come concorrente al titolo.

A vietarlo un articolo del regolamento che elegge la più bella dello stivale, ma prevede che possa partecipare solo chi è donna fin dalla nascita, escludendo evidentemente chi ha cambiato sesso.

Ed è per questo che Luxuria ha declinato l'invito a partecipare in veste di giurata, dimostrandosi coerente con le sue idee ed i suoi principi sarò giurata quando toglieranno l'articolo 8 che dice NO alle trans operate! Perché io sì e le altre no? Solo perché sono famosa?” ha “twittato”.

A questo punto l'organizzazione del concorso, nelle vesti di Patrizia Mirigliani, ha cercato di buttare acqua sul fuoco manifestando la possibilità di cambiare questa clausola aprendo alle trans operate il prossimo anno, addirittura affermando che la più bella d'Italia nel 2015 potrebbe essere un transgender.

Eva, che nasce Adamo in realtà, per trasformarsi in principessa non ha dovuto mangiare nessuna mela, ma sottoporsi a più di venti operazioni, l'ultima delle quali a Bangkok, ma la sua carta di identità parla chiaro: sesso femminile.

trovo ingiusta e discriminante questa clausola” dice questa palermitana naturalizzata bolognese “ho intrapreso una causa durata cinque anni per vedere scritto nel mio documento la parola donna, ma adesso che ho vinto non mi ferma più nessuno. Avessi avuto i requisiti fisici (le misure richieste) e l'età avrei partecipato.”

Eva mi parla del suo percorso doloroso e difficile, fiera di aver avuto sempre al suo fianco la madre, purtroppo scomparsa nel 2006, in una Palermo a volte cattiva, dalla quale è scappata e nella quale ha provato a tornare per l' amata famiglia (il padre e le due sorelle) per sentirsi nuovamente rifiutata dai suoi abitanti.

ho frequentato l'accademia di estetica a Roma e mi sono diplomata in trucco estetico e cine/teatrale, a Bologna avevo un ottimo posto, nello studio di un chirurgo plastico.

Ho provato a mollare tutto per ricominciare nella mia città natale, mi è stato detto che non sono “adeguata” al mio ruolo: non si smette mai di lottare. Nemmeno dopo l'operazione.”

Mentre parliamo ci facciamo anche delle confidenze “ si dice in giro che al concorso di Miss Italia abbiano partecipato in passato almeno tre trans operate, non vincendo titoli nazionali, ma arrivando tra le sessanta finaliste. Sarà vero?”

In effetti se ci pensate bene, se una trans operata volesse partecipare al concorso mentendo sul suo passato, avendo la carta d'identità in regola, chi potrebbe scoprire la realtà?

Eva ha anche le idee chiare sulle motivazioni che escludono le transgender dal concorso “ da una parte c'è un problema di mentalità legato alla presenza del Vaticano, dall'altra c'è una scuola di pensiero che ha paura delle transgender, vengono viste come un fenomeno ingombrante, quando in realtà c'è posto per tutti nel mondo, ma il diverso fa paura.”

Eppure a guardarla sembra solo una bellissima donna, le chiedo che rapporti abbia con gli uomini e con le donne “ devo dire che ho un successo enorme tra i maschietti, ma io ho occhi solo per il mio compagno con il quale convivo a Napoli. Per quanto riguarda le donne è molto semplice: divento amica e complice di quelle intelligenti ed aperte, mentre le ignoranti mi vedono come una nemica, quindi non c'è possibilità di stringere rapporti.”

Ma non è sempre stato così e mi racconta di quando poco più adolescente veniva cacciata da branchi di essere umani, chi la voleva per del sesso
occasionale, chi per picchiarla

sono fuggita dalla mia città per non soccombere. Sono riuscita a sopravvivere grazie all'amore dei miei genitori che hanno aspettato undici anni per fare il terzo figlio sognando il maschio, e sono arrivata io. Se sono riusciti loro ad accettare la terza figlia femmina in famiglia, non vedo perché non possa farlo un concorso di bellezza. Loro mi hanno accolto per tutta la vita, Miss Italia dura solo qualche giorno.”



Come darle torto.



Irene Vella
 
 

#mammerde


Ho pensato molto al fatto di scrivere o meno questo post, se ci fosse davvero l'esigenza o l'utilità, ma poi mi sono detta sticazzi io ne ho bisogno e quindi lo faccio.
Tutto è partito da un mio post scritto ieri sera su facebook  ( https://www.facebook.com/irene.vella2/posts/10204365985607087?notif_t=like ), uno sfogo dopo che la mamma di un compagno di scuola e di calcio dello gnomo ha invitato tutti i compagni tranne lui.
La mia reazione iniziale è stata semplice: una strage.
Vedere gli occhi del proprio figlio gonfiarsi di lacrime per essere stato escluso (ma subito dopo ricacciarle indietro facendo il superiore) scatenerebbe istinti omicidi in qualunque madre che si rispetti, per fortuna che in famiglia Gabriele è l'adulto della situazione.
Ma i bambini devono essere tali, non devono aver paura di nascondere le proprie debolezze, per esempio io perché dovrei nascondere che se avessi un paio di forbici taglierei tutti i capelli della stronza genitrice? o ancora meglio potrei strapparle la gonna e lasciarla in mutande davanti al cancello di scuola(sperando indossi quelle  della nonna).
Mio figlio mi ha lasciata interdetta con "mamma stai tranquilla, non te la prendere (io...), magari è solo perché vengo da fuori, ci vuole un po' prima che gli altri mi accolgano (cazzo un po' va bene, ma siamo al secondo anno, non è troppo?), quando loro vorranno io ci sarò.
Allora l'ira funesta si è aggrappata di ogni mio neurone ed ho cominciato a pensare all'organizzazione di una mega festa che l'abito di Belen al matrimonio della Canalis scansate, tipo con nani, giocolieri, calciatori di serie A che giocano solo con lo gnomo, e gonfiabili per tutto il perimetro della villa (due ettari) e sticazzi, senza invitare la tipa e il di lei figlio.
Ma lo gnomo mi ha stupito ancora una volta "io non sono come lui. Se faccio una festa invito tutti."
ecco ora mi sento pure in colpa perché sono una #mammerda pure io.
Allora facciamo così organizzo l'evento dell'anno, quello di cui parleranno per gli anni a venire, campando così di rendita per diverso tempo, e sto.
Nel frattempo però stilo un decalogo per riconoscerle, perché anche se scuola che vai #mammerda che trovi, certi personaggi sono uguali da regione a regione, cambia solo l'accento perché teste di cazzo sono e teste di cazzo resteranno.
Dal libro "Credevo fosse un'amica ed in invece era una stronza" il capitolo dedicato alle stronze mamme

Le mamme stronze
E continuiamo il viaggio nel mondo delle stronze, oggi ci occuperemo di una categoria a me davvero cara: le stronze mamme, che per la proprietà commutativa si possono trasformare nelle mamme stronze che tanto il risultato non cambia: sempre stronze sono.
Il branco si ritrova di solito all’esterno di una scuola, sia essa materna, elementare o media, dopo i figli sono troppo grandi e hanno provveduto in primis a sfancularle senza aspettare che lo faccia qualcun altro per loro, e le riconosci facilmente dallo sguardo che hanno.
Ti squadrano dall’alto verso il basso per capire chi cazzo sei, chi è tuo figlio, perché sei in pigiama e soprattutto orrore! perché non ti sei messa un minimo di stucco sulla faccia prima di uscire, non lo so almeno il mascara dico io.
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Le mamme stronze passano ore davanti al cancello della scuola, se non c’è un bar a tiro, altrimenti ci si spostano in gruppi e le ore le passano lì, dove si deliziano praticando il loro sport preferito: il taglia e cuci.
Parlano di vari argomenti. Si va dall’abbigliamento al must delle loro discussioni: quelle infami delle mamme lavoratrici che rovinano l’infanzia dei loro poveri putipù abbandonandoli per ore a scuola e di sicuro verranno su come serial killer, per concludere con il metodo educativo dei figli, e il loro è sempre il migliore.
Di solito la capa delle mamme stronze è decente, esteticamente dico, e ama circondarsi di cesse che l’adorino e non la contraddicano mai, pena l’esclusione dal branco e la messa alla gogna la mattina dopo.
E qui interviene l’aneddoto.
Mio figlio ha otto anni, il suo nome è Gabriele, ma per tutti è diventato lo gnomo (da grande mi odierà forse), un po’ perché il cugino è quindici centimetri più alto di lui – pur avendo la stessa età –, un po’ perché ha le orecchie a punta e sembra un elfo dei boschi (ma elfo era troppo strano come soprannome), ma uno gnomo super figo sia chiaro.
In ogni caso l’amore di mamma sua frequentava una classe in cui c’era il figlio perfettino di una di queste care mamme.
Quelle che:
“Mio figlio non si è mai tolto una caccola” (beata, il mio se le mangia!).

“Mio figlio non ha mai avuto i pidocchi, è troppo pulito per avercene: sia chiaro sono stati gli extracomunitari che li hanno riportati” (pensa te, a noi un anno i pidocchi ci hanno invaso, hanno fatto una strage: mamma, babbo, figlia più grande e gnomo che aveva sei mesi cinque capelli in croce in testa e tre pidocchi).
E soprattutto: “Mio figlio non dice le parolacce, perché noi siamo una famiglia per bene e non le diciamo sia chiaro” (magari non le dicono ma sono dei delatori – e chi fa la spia non è figlio di Maria – dei compagni ignari di cotanta grazia e appartenenti a genitori che al volante infamano gli altri guidatori così tanto che il navigatore non indica le strade ma bippa le parolacce).
L’enunciato è quindi chiaro e lapalissiano.
La mamma stronza per osmosi genera figli stronzi.
Quelli che “maestra lo gnomo ha detto una parolaccia”.
“Maestra la mamma dello gnomo dice le parolacce”.
E qui interviene lo gnomo, putipù amore della sua mamma stronza di rimando (che sarei io) e si presenta:
“Maestra sa che la mia mamma ha scritto un libro sulle puntini puntini amiche?”
La maestra: “Gabriele perché dici puntini puntini ?”
G: “Perché c’è una parolaccia”.
M: “Qual è?” (ma ora dico, perché indagare? Su, lo sanno tutti che la cacca più la rigiri più puzza, mica l’ho inventato io il detto, eh).
G: “Stronzamiche”.

Interviene il figlio stronzo di mamma stronza:
“Aaaah, tua mamma dice la parolaccia stronze?”
Gnomo con nonchalance: “Sì ma mica dice solo stronze dice anche quella con la doppia zeta, in particolare la mattina se siamo in ritardo e davanti c’è una macchina con il guidatore che va piano gli urla: ‘Testa di cazzo ti muovi che faccio tardi a scuola!!!’”.
No ecco, così, tanto per dire.
Noi mamme stronze di rimando generiamo bimbi merda.
I nostri."
Irene Vella